Ci sono due tipo di approccio nell’analisi di un’abitazione: il primo vede la casa come una creazione del suo proprietario/affittuario, il secondo prova a comprendere se particolari conformazioni della stessa abbiano un’influenza sugli abitanti. Per definire più semplicemente i due metodi di analisi, parleremo nel primo caso di soggettivazione della casa e nel secondo di oggettificazione delle persone. Secondo la tradizione del Feng Shui, che da millenni studia quello a cui si approccia da qualche decennio la neuroarchitettura, ovvero la stretta correlazione tra l’ambiente domestico (e architettonico in generale) e la psiche di chi lo vive, la propria casa in particolar modo può influenzare circa il 30% dei comportamenti ed esiti di vita di una persona. Determinati orientamenti (quindi differenti esposizioni alla luce solare), determinate forme (quindi l’essere costantemente sottoposti ad informazioni specifiche di tipo spaziale), determinati colori (quindi lo stimolo più rapido di sicurezza o pericolo che giunge al nostro cervello) sul lungo andare possono profondamente influenzare il nostro stato mentale.
Si ritiene che in linea di massima una casa possa cominciare ad influenzare una persona dopo una permanenza di almeno 3/5 anni. Parlare di influenza della casa su periodi più brevi, o per persone che viaggiano molto e hanno più domicili, non è corretto se non in rari casi in cui l’abitazione porta una serie di caratteristiche problematiche (inquinamento elettromagnetico, disturbi geobiologici, fino alla sick building syndrome). Bisogna distinguere anche il modo in cui una casa è stata scelta: se la casa è stata scelta per necessità o senza un’attenzione particolare, è molto più probabile che le caratteristiche della casa influenzino le persone in modo costante ma blando, mentre se la casa è stata scelta con una ricerca mirata, molto spesso essa rappresenta la persona che l’ha scelta, poiché inconsciamente vi si identifica.
La costruzione di un’abitazione un tempo e oggi la scelta di un’abitazione, come per qualsiasi altra specie animale, è il vero punto di passaggio dall’infanzia all’età adulta. Nei millenni la casa si è conformata in modi variati ma uniformi: in principio era un’unità singola e mobile, dove le persone si riposavano e allevavano la prole. Era spesso organizzata in modo frattale, con molte unità simili a creare un piccolo insediamento funzionale alla tutela del gruppo sociale. In seguito si è evoluta in sistemi di tipo stanziale e cittadino, con abitazioni individuali inserite in sistemi fortificati o costruiti su aree protette (colline, isole…) adattandosi al numero di abitanti, alla morfologia del territorio e soprattutto al sistema culturale di riferimento. In certe aree, infatti, si sono mantenuti insediamenti singoli raggruppati, in altre si sono favorite le maxi-costruzioni in cui le singole stanze prendevano il posto delle capanne o tende per ogni unità familiare.
Ciò che accomuna però qualsiasi “casa” è l’essere vissuta dalla cellula minima sociale: il nucleo familiare. Ogni cultura intende in modo differente il nucleo familiare: anche in Italia fino a pochi anni fa era considerato non socialmente accettabile il singolo individuo come nucleo familiare a sé stante. Oggigiorno la creazione di una struttura socioeconomica sempre più fluida e a rapido cambiamento, senza la necessità fisica di manodopera funzionale alla famiglia (i figli), permette di inserire a pieno titolo nella tassonomia di cellula sociale l’individuo stesso, non più inteso solo come soggetto attivo, ma come nucleo familiare tout court.
Parlando di come una casa possa essere soggettivata dai propri abitanti, il nucleo familiare individuale è la più chiara rappresentazione del caso. Se infatti in un nucleo esteso, di coppia o con figli, riconosciamo sempre un apporto del bagaglio psichico e culturale dei vari membri, magari con una dominanza di uno rispetto all’altro, nella casa abitata da una sola persona, la stessa è molto più probabile che venga formata e modificata a immagine di chi la abita. Problemi di accumulo, collezioni, eccessivo spartanismo o minimalismo, sono sintomo vero e proprio di disagi o paure degli inquilini di tali abitazioni. Anche le case museo, quelle che sembrano uscite da una rivista, o al contrario quelle caotiche ma senza continuità stilistica, possono essere segno di manie di controllo o al contrario eccessivo lassismo e confusione mentale.
Quando commentiamo “questa casa ha proprio personalità”, non stiamo parlando dell’abitazione, ma di chi l’ha creata. E più una persona si sente soddisfatta delle proprie scelte a tema di interior design, più possiamo interrogarci sullo stretto legame che si è creato con tale spazio. In fondo la casa non è solamente un luogo in cui riposare, è una sorta di estensione del nostro corpo. Nel Vastu Shastra indiano, ad esempio, la definizione dell’ambiente domestico viene fatta seguendo una mappa di tipo spaziale/direzionale che si modella sulla figura di un corpo umano. Perchè la casa, appunto, non è solo uno spazio materiale, ma la proiezione del nostro universo psichico con i conseguenti effetti sul corpo. Alcune geomanzie, quindi tecniche al limite tra fisica e metafisica di analisi degli edifici e dei loro effetti sugli abitanti, valutano persino funzionalità simili a quelle dell’agopuntura, da applicare in un ambiente. Lo spazio abitato (o lavorativo) possono quindi diventare una rappresentazione talmente aderente di chi lo vive, da fungerne da simulacro.
Anche se a livello spaziale il cuore dell’abitazione è il suo centro, una stanza che ci dà tantissime informazioni è proprio la camera da letto. Essa di fatto svolge l’unico ruolo da sempre presente in una casa (come in un nido): permettere il riposo. Noi siamo abituate/i a compiere moltissime azioni nella nostra casa: cucinare, ospitare, riposare, lavarsi, persino lavorare. In origine, invece, la casa era solo il riparo, il luogo sicuro in cui proteggersi dai predatori, in cui tutelarsi e recuperare le forze. In molte zone geografiche l’abitazione supporta ancora quest’unica funzione, come in aree meno soggette al colonialismo europeo e più legate ad una vita nomade. Le funzioni domestiche si sono stratificate a seconda della cultura di appartenenza e per tale ragione possono variare anche nel tempo. Si pensi che ancora fino al secondo dopoguerra, molte abitazioni italiane non avevano il bagno in casa, cosa che oggi ci lascerebbe totalmente contrariate/i.
La camera da letto, essendo l’area più privata, quella in cui solo chi vi abita solitamente accede, riflette la dimensione più intima di una persona. Questo spazio è quindi il nucleo fondamentale, senza del quale la casa non potrebbe neppure essere definita tale. Culturalmente, soprattutto in Europa, le abitazioni stanno cambiando molto e anche le funzioni spaziali si sono evolute da una maggiore specializzazione a luoghi multifunzionali, in cui si può passare da attività più dinamiche a meno dinamiche (che definirei yang e yin) a seconda del momento della giornata. Tuttavia la camera da letto, ad esclusione del caso dei monolocali, è sempre un luogo che dovrebbe mantenere il suo stato yin per essere coerente L’errore comune che si vede è quello delle camere da letto usate per guardare la tv, lavorare, studiare… Chi tende a sfruttarle per altre attività, molto spesso manifesta problemi con il riposo, perché di fatto quella stanza non rispecchia più la sua fondamentale funzione.
Ad un occhio allenato, quindi, la visita di un’abitazione porta molte più infomazioni su una persona di quante la stessa possa persino ammettere. E spesso perché non ne è consapevole. Conformazioni particolarmente sfavorevoli, dettagli che creano disagio, cose nascoste nelle cantine o nelle soffitte, raramente sono delle presenze casuali. Nell’ottica di soggettivazione e oggettificazione, spetta a chi analizza un ambiente comprendere che tipo di rapporto la persona abbia instaurato con la propria casa. Se vogliamo chiamare in causa le medicine alternative, ad esempio, sarebbe sempre fondamentale non solo lavorare sul cliente, ma anche sulla sua abitazione: risolvere sintomi o cause di un disagio che poi vengono costantemente riattivati dall’abitazione, è un po’ come cercare di svuotare una vasca tenendo il rubinetto aperto!
A volte, invece, una casa può essere all’apparenza perfetta e non aderente a chi la vive. Come scritto prima, bisogna sempre valutare da quanto e quanto tempo sia vissuta, ma se anche questo ci portasse a definire che qualcosa non torna, molto probabilmente ci sono dei trascorsi importanti vissuti altrove. La casa o le case dell’infanzia, infatti, tendono ad influenzarci molto di più di quelle che viviamo in età adulta, perché sono quelle che hanno definito il nostro posto nel mondo. Case piccole, isolate, o al contrario troppo grandi e pompose, creano squilibri nei bambini che non si sentono a loro agio in un ambiente che dovrebbe permettergli uno sviluppo armonico e mutare assieme ad essi.
In quest’ottica, e per quanto dicevo nell’articolo precedente, un genitore non dovrebbe mai pensare di rendere la casa “a misura di bambino” perché la nostra percezione di ciò che per noi può essere adeguato, non sempre collima con i reali bisogni dei più piccoli. Con questo non intendo che una casa non debba essere messa in sicurezza, anzi, ma che molto spesso facciamo suddivisioni degli spazi e scelte di colori e arredo, che non vanno assolutamente bene per dei piccoli Sapiens in crescita. Errori molto comuni sono:
Azioni fatte in buona fede, per amore dei figli, possono così rivelarsi controproducenti. Infatti:
Queste sono indicazioni di massima, ovviamente, perché poi le caratteristiche individuali possono mutare totalmente le necessità. Eppure la neuroarchitettuta conferma come proprio lo stimolo sbagliato al momento sbagliato, possa creare disagi permanenti nel tempo.
La nostra relazione con lo spazio abitato è spesso non manifesta. Per noi la casa è un impegno, come una passione, eppure il risiedere costantemente in un ambiente con determinate forme e colori, ha un impatto profondo sulla nostra psicologia. Vi è mai capitato di sognare la vostra casa dell’infanzia? O una casa in cui stavate spesso in infanzia? Questo perché nella fase della crescita il nostro cervello elabora qualsiasi informazione con molti meno filtri culturali. Il bello dell’infanzia è proprio il non condizionamento sociale, che dovremmo imparare a mantenere anche nell’età adulta. Mi è capitato spesso di vedere persone vivere in case molto più simili ad un ambulatorio che ad un nido accogliente, e quasi sempre queste persone avevano effettuato un totale distacco dalla loro componente più emotiva e istintiva. Nessuna persona fortemente radicata e in comunicazione con le proprie pulsioni e necessità andrebbe mai a vivere in un luogo che ricordi uno spazio di malessere o comunque di asettica cura.
Bisogna sviluppare con attenzione e molta capacità di ascolto, non solo verbale ma soprattutto sensoriale, una sana relazione con la propria abitazione. Qualsiasi feedback negativo, infatti, va a stratificarsi sulla stessa immagine che abbiamo di noi stesse/i, in quanto proiezione di quello spazio architettonico che in fondo è ciò che noi “possediamo” nel mondo. A volte non ci si pensa, ma la proprietà privata si creò proprio nel momento in cui un animale per la prima volta si costruì un nido: uno spazio delimitato sottratto all’uso altrui. Se in questo spazio privato custodiamo memorie di azioni, o ancora più palesemente memorie materiali. il passo nell’identificazione o nella creazione di un legame biunivoco è molto rapido. Quindi non esitiamo a far sparire dalla nostra casa tutto ciò che ci porta via troppo tempo, o ci incupisce, o è assodato non piaccia ai bambini e agli animali. In fondo, per quanto ce lo abbiano fatto scordare, noi siamo animali e proprio la rinuncia alla nostra animalità è per molti la prima causa del disagio interiore.