Negli ultimi anni, a causa dell'estremo impatto antropico dovuto dalla presenza di plastica dispersa nell'ambiente, è sempre più frequente sentire parlare di microplastiche.
Cosa sono le microplastiche? Le microplastiche sono frammenti di plastica di dimensioni ridotte, sono presenti in vari ambienti, dall'oceano alle terre emerse, e rappresentano una seria minaccia per la salute dell'ecosistema e degli esseri viventi. Possono essere suddivise in due categorie principali: microplastiche primarie e microplastiche secondarie.
Le microplastiche primarie sono prodotte intenzionalmente per scopi specifici, come abrasivi nei prodotti per la cura personale (ad es. gli esfolianti), pellets di plastica utilizzati nell'industria manifatturiera, fibre di plastica nei tessili e granuli di resine nei processi industriali. Al contrario le secondarie si formano attraverso il processo di frammentazione di oggetti di plastica più grandi a causa dell'esposizione agli agenti atmosferici, all'azione meccanica (ad es. erosione dalle onde in mare, ma anche la stessa lavatrice su fibre sintetiche), o a processi di degradazione come l'abrasione da parte di veicoli su strada o il deterioramento degli imballaggi di plastica.Le microplastiche possono variare di dimensioni, ma in genere hanno una dimensione compresa tra 0,1 micron e 5 millimetri. Le microplastiche primarie tendono ad essere più piccole, mentre le microplastiche secondarie, derivanti dalla frammentazione di oggetti come bottiglie di plastica, possono essere di dimensioni maggiori.
Le microplastiche sono composte principalmente di polimeri come polietilene (PE), polipropilene (PP), polistirene (PS), polietilentereftalato (PET) e altri, e il loro grande problema è che non solo vengono disperse nell'ambiente diventando dannose per gli animali e le piante, ma che ormai sono talmente piccole e presenti da riuscire a penetrare profondamente in qualsiasi corpo.
Già da uno studio del 2021 (https://doi.org/10.1016/j.envint.2020.106274) si evidenziava come sia possibile trovarle persino nella placenta umana, perché finiamo per ingerirle attraverso la catena alimentare. Chi consuma pesce in una quantità media, può mangiare oltre 50.000 particelle di microplastica ogni anno (https://doi.org/10.1289%2FEHP8936) che si accumulano in certe aree del corpo, come i polmoni, il fegato, i reni e il sistema linfatico causando danni a lungo termine. Per capirsi, una persona con una dieta onnivora, come dimostrato da uno studio del 2019 condotto dall'Università di Newcastle con WWF International, ogni settimana ingerisce in media circa 5 grammi di plastica sotto forma di microplastiche: come se ci mangiassimo la nostra la nostra tessera del bancomat...
Cosa significa ciò per la nostra salute? L'OMS e altri enti preposti stanno analizzando approfonditamente il tema, ma i risultati finora evidenziano come tali sostanze possano causare infiammazione nei tessuti e danneggiare le cellule a livello locale, maggiormente nel tratto gastrointestinale, dove interferiscono con il microbiota. Inoltre alcune microplastiche contengono anche additivi chimici o altre sostanze tossiche che possono essere rilasciate nel corpo una volta assunte. Queste sostanze interferiscono con il sistema endocrino, causando disfunzioni ormonali e altri effetti negativi sulla salute.
Dentro e fuori dal nostro corpo (quindi se parliamo di COV) possono agire anche come vettori per agenti patogeni come batteri e virus, o per inquinanti ambientali come metalli pesanti e composti organici persistenti. Questo può aumentare il rischio di malattie infettive e l'esposizione a sostanze tossiche cancerogene, massimamente nelle aree in cui la qualità dell'aria è molto bassa a causa dell'attività industriale, l'urbanizzazione o gli allevamenti intensivi.
La nostra prima missione, quindi, sarebbe quella di evitare totalmente la plastica superflua (imballaggi, bottiglie di plastica, filati sintetici, oggetti di scarsa qualità...) e fare il possibile per favorirne una fruizione circolare, attraverso il riciclo corretto e l'acquisto esclusivamente di plastica ed eventuali tessili sintetici riciclati. La plastica è un prodotto che andrebbe evitato il più possibile anche all'interno delle abitazioni, e non solo per quanto riguarda i prodotti di consumo e contenitori, ma anche per mobili e accessori. Ovviamente dal ragionamento escludo i giocatoli certificati per i bambini, certi elettrodomestici e dispositivi elettronici e i prodotti di alta qualità a basso livello di decadimento, che spesso sono costruiti in via esclusiva con i materiali plastici.
Infatti questo movimento meccanico va a creare la dispersione di polveri sottili in cui sono incluse appunto le microplastiche di dimensioni più ridotte. La plastica infatti non è come noi ci immaginiamo - e come anche la pubblicità per anni c'ha illuso - una sostanza assolutamente inerte, duratura e che non ha nessun effetto in relazione alla biologia umana. E più plastica abbiamo nella nostra vita, più microplastiche disperderemo nell'ambiente, diventando causa del nostro stesso problema.
Quando parliamo di plastiche, una cosa da non dimenticare è la presenza di plastiche nei tessili. Come vi sarà capitato di leggere, visto che fortunatamente si parla sempre più spesso di lotta alla Fast Fashion e di vestire sostenibile, infatti, un altro grosso problema è legato al decadimento dei tessili sintetici durante i processi di lavaggio. Studi scientifici hanno infatti confermato che un lavaggio in lavatrice di tessuti sintetici rilascia in media nell'acqua di scarico non appropriatamente filtrata, dai 100 ai 300 mg di fibre. Queste fibre ormai hanno invaso di oceani, creando quanto le microplastiche da contenitori e altre, un gravissimo impatto ambientale.
Attenzione alla lana però: la lana per quanto sia un'eccezionale isolante termico e un tessile molto adatto a proteggere il nostro corpo dai climi estremi, non sempre viene prodotta tenendo in considerazione gli animali. Pertanto se si volesse usare la lana, come ad esempio per i climi più freddi, è sempre consigliabile avere certezza della filiera e della lavorazione con cui è stata prodotta. Inoltre il consiglio principale è quello di orientarsi verso lana riciclata, che attualmente viene prodotta sempre più spesso, o persino, imparare a sostituire alla lana altre fibre vegetali pensate per l'isolamento termico, Attualmente la lavorazione del bamboo permette la creazione di fibre con un miglior livello di termoregolazione rispetto al cotone, ed è soprattutto molto più sostenibile. Basti pensare che la produzione di 1 kg di cotone richiede circa 10.000-20.000 litri d'acqua, mentre 1 kg di fibre di bamboo richiede circa 2.000-4.000 litri d'acqua!
Quindi, per qualsiasi acquisto vogliate fare per la vostra abitazione, ma anche per i vostri abiti, da ora e poi mi raccomando di puntare sempre di più alla sostenibilità preferendo vestiti e tessili usati, magari provenienti ad esempio dai mercatini di beneficienza, che tantissime associazioni e parrocchie organizzano nelle varie città: in questo modo non solo aiuteremo il pianeta, senza acquistare un altro prodotto di consumo, ma soprattutto daremo aiuto anche a chi, come queste associazioni, si occupa in prima linea del Benessere della nostra società.